Con cinque clamorose sentenze, pubblicate di recente, il Consiglio di Stato ribalta parzialmente il giudizio, promosso dal TAR Lazio nel 2017, sul Regolamento degli impianti di telefonia mobile, approvato a Roma nel 2015, durante il mandato del Sindaco Marino.
Il CdS è intervenuto sulla vicenda dopo che, a seguito del ricorso proposto in secondo grado nel 2018 da quattro operatori di telefonia mobile, il giudizio era stato sospeso, con ordinanza 2033/2019, per consentire l’invio degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, investita a sua volta della questione pregiudiziale sulla presunta incompatibilità della normativa italiana (che affida ai comuni la facoltà di emanare regolamenti per gestire gli impianti sul territorio) con le direttive europee sulla concorrenza ed il servizio universale.
La CGUE, con ordinanza del gennaio 2020, ha dichiarato “manifestamente irricevibile” la domanda di pronuncia giudiziale del CdS, affermando l’inapplicabilità delle direttive europee al servizio di comunicazione mobile, in quanto, in particolare, la direttiva sul “servizio universale” è riferita esclusivamente alla telefonia fissa.
Dalle argomentazioni della CGUE, inoltre, si evince che le disposizioni europee non sono, in via di principio, in contrasto con la normativa nazionale, che prevede la potestà regolamentare dei comuni in materia di insediamento urbanistico e territoriale degli impianti per telefonia mobile e la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici.
Chiarita, dunque, la sostanziale compatibilità di regolamenti e piani delle antenne con la normativa europea, il giudice di secondo grado ha riavviato il procedimento (aprile 2020) ed è entrato nel merito dei motivi addotti in appello dagli operatori telefonici, giungendo a conclusioni parzialmente opposte rispetto al giudizio del Tar.
Il Consiglio di Stato, sposando un orientamento di parte della giurisprudenza sul tema, stabilisce che il limite distanziale, contenuto all’art. 4 del Regolamento di Roma Capitale (niente antenne entro mt. 100 dai c.d. luoghi sensibili), non rappresenta un criterio di localizzazione, bensì un divieto generalizzato alla installazione degli impianti e, come tale, può costituire un ostacolo alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, al punto da pregiudicare l’interesse nazionale alla copertura del territorio, ai sensi del codice di comunicazione elettronica (d.lgs. 259/2003).
Appare chiaro che, un pronunciamento di questa portata, applicato al Regolamento di localizzazione e installazione di impianti per telefonia mobile, in un territorio fortemente urbanizzato, come quello della Capitale, si traduce inevitabilmente in una sanatoria generalizzata per centinaia di antenne, collocate entro il raggio dei cento metri prescritti. Per buona pace di quella ampia fascia di popolazione (scuole=bambini; ospedali=degenti; case di riposo=soggetti fragili), che continuerà a subire gli effetti potenzialmente nocivi per la propria salute dell’inquinamento elettromagnetico.
Vieppiù, le numerose istanze di nuove antenne, in corso o in fase di allestimento presso il Comune di Roma, corrispondenti all’incremento di nuove tecnologie sul mercato, finiranno per intasare le già sature aree di rispetto, che il Regolamento aveva provato a tutelare.
Tale disastroso risultato per la popolazione della nostra città è in gran parte ascrivibile all’Amministrazione capitolina, che in tutto il suo mandato, ha impedito, attraverso un comportamento sostanzialmente dilatorio, di realizzare il Piano regolatore delle antenne, strumento urbanistico virtuoso ed autentico argine alla diffusione incontrollata di infrastrutture elettromagnetiche.
Tuttavia, nonostante tale pronuncia abbia di fatto amputato un importante elemento del dispositivo di tutela, va segnalato che l’impianto su cui poggia il Regolamento capitolino è stato legittimato dal giudice d’appello, consolidando il principio per cui gli enti locali sono pienamente titolati a disciplinare la collocazione delle antenne nel territorio, anche con l’introduzione di limiti e divieti, purché non generalizzati.
Giuseppe Teodoro